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Comune di Vicoforte
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Rioni e Frazioni
La Via di Santo Stefano e Le Moline

Oltre l'abitato del Poggio ha inizio la via di Santo Stefano che anticamente portava all'omonimo Monastero oggi abitazione rurale: è nominato per la prima volta in un documento del 1118 ma non si sa con certezza quando e da chi sia stato fondato, nel 1471 fu soppresso l'Ordine dei Benedettini e il monastero fu ceduto al Capitolo di Mondovì; si presume che i monaci che vi dimorarono dedicandosi all'agricoltura contribuirono a ripopolare questi luoghi abbandonati durante le scorrerie dei Saraceni.
Subito dopo il Pilone del Diavolo, legato alla leggenda di un diavolo sprovveduto gabbato dalla furbizia contadina, si apre uno splendido panorama di ampio respiro: la lunga sequenza delle borgate (Poggio, Gariboggio, Borgo, Fiamenga, Costa) disegna il singolare profilo di Vicoforte attorno alla Cupola del Santuario, cinto all'orizzonte dalle imponenti cime alpine.
Subito dopo Santo Stefano la strada sulla sinistra si snoda in discesa e conduce alla tranquilla valle Corsaglia dove si trova la frazione delle Moline il cui nome deriva dai molini che un tempo esistevano lungo il torrente. La chiesa dell'Annunciazione , parrocchia dal 1565 sostituì l'antica chiesa parrocchiale di San Benedetto appartenente alla comunità del Pizzo che si estendeva verso Torre e della quale non rimangono tracce , distrutta dal'epidemia del 1630.
Moline diede i natali nel 1888 a Nino Fracchia, pittore schivo  ma di grande talento e dalla multiforme attività.



Fiamenga e la via delle Cappelle

A ovest del Santuario un bel viale alberato si inoltra nella zona residenziale, signorile e moderna al tempo stesso, per proseguire in mezzo alle caratteristiche case a schiera della parte vecchia di Fiamenga.
Passato e presente formano quindi un armonioso e piacevole contrasto poichè Fiamenga è da ritenersi la parte più antica di tutto il paese, raccolto attorno all'unica via denominata Flaminia che dal Borgo si estendeva fino al Ghetto e dalla quale deriva il nome Fiamenga.
Dopo circa un chilometro, sulla sinistra si raggiunge l'antica Pieve di San Pietro, oggi Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, presumibilmente del IV o V secolo, sorta all'ombra dell'area di un tempio pagano, nella quale vengono conservati affreschi databili alla prima metà del 1400. Vuole la tradizione che verso l'anno 1100 vi sia stato battezzato il più illustre figlio della terra di Vico, San Teobaldo Roggeri, nato nel terziere di Settevie ai piedi del Castello. La chiesa è stata poi restaurata e consacrata dal vescovo Castrucci nel 1596 mentre il campanile è stato rifatto nel 1684.
Poseguendo verso destra inizia la via delle Cappelle che conduce a Mondovì Piazza. In occasione della prima incoronazione della Madonna di Vico nel 1682 si pensò di costruire lungo questa strada ben quattordici cappelle dedicate ai Misteri del Rosario e il Santuario avrebbe rappresentato il quindicesimo.
Per iniziativa di facoltose famiglie si costruirono le prime quattro a Fiamenga, di queste solo una è ancora esistente, poi si abbandonò il progetto che fu ripreso nel 1869 dai vescovi Mons. Ghilardi e prima e Mons. Pozzi poi facendo costruire dal 1874 al 1886 quattro cappelle. Una quinta cappella , dedicata al Calvario venne aggiunta dalla popolazione e ospita il vecchio pilone che stava al margine della strada, si trova molto vicina alla quarta cappella rappresentante la flagellazione al bivio tra via Bovolo e la prosecuzione per Mondovì Piazza. Proseguendo verso Mondovì si incontra la terza cappella sulla sommità di una scalinata dedicata all'Orazione di Gesù nell'orto, in fondo alla scalinata la seconda cappella  rappresenta la presentazione di Gesù al tempio. Al termine della via verso Mondovì Piazza si trova la prima cappella dedicata all'Annunciazione, la prima ad essere stata costruita. Anche questo secondo progetto restò incompleto ma le cinque Cappelle, inserite  nel bel paesaggio sono più che sufficienti a dare risalto a questa riposante e pittoresca passeggiata.



Via San Giovanni e San Grato

Dalla Piazzetta di San Bernardo ha inizio la via di San Giovanni che prende il nome dall'omonima chiesetta , presumibilmente del XV secolo che si incontra dopo poche centinaia di metri su un piccolo poggio. Tale chiesa fu sede di parrocchia indipendente fino al 1606 quando avvenne la fusione con quella di San Donato. 

L’attuale piccola cappella di San Giovanni che sorge sulla via che da Vicoforte scende all’autostrada è immersa nel parco della Rimembranza comunale e non sembra presentare particolari attrattive artistico culturali. 
In realtà, si tratta di una dei più antichi luoghi di culto del paese che ha visto molti rifacimenti e trasformazione nel corso dei secoli.Probabilmente la prima chiesa, dedicata a S. Maria,  risale almeno all’XI secolo. 
La prima testimonianza certa è del 1309; in essa si legge "ecclesia sanctae Mariae de Villario Vici". Accanto a questa prima cappella ne viene costruita un‘altra, nel XV sec., dedicata a S. Giovanni, utilizzando una parte della sacrestia.  
Di queste antiche vestigia (l’attuale cappella risale all’inizio del XIX) non restano  che le fondazioni e alcune lapidi del I sec. d.C. che lasciano supporre come questo sito fosse già utilizzato in periodo romano, forse come luogo cultuale o come luogo importante su vie di collegamento.


La strada poi percorre una zona collinosa fino ad un pilone votivo alle pendici dello storico Bricco della Guardia dal quale Napoleone il 21 aprile 1796 assistette alla Battaglia di Vico e da dove si ammira un panorama vastissimo e mozzafiato. 
Proseguendo a destra si arriva alla frazione rurale di San Grato. La chiesa, costruita negli anni 1796-1798, venne eretta a parrocchia nel 1952 , ospita una tela del XVIII secolo di notevole pregio raffigurante Tobia e l'Arcangelo Raffaele, molto bella anche la Sacrestia impreziosita da un soffitto finemente stuccato.
Dalla chiesa la strada segue un antico tracciato in cresta alle colline e prosegue in terra battuta fino a raggiungere nel territorio di S. Michele Mondovì il Castello e di lì la Bicocca di S. Giacomo resa celebre dalla poesia dedicata al vittorioso contrattacco del piccolo esercito piemontese contro l'armata francese guidata da Napoleone Bonaparte. 
Ad occidente invece si sviluppa una piccola valle che raggiunge la località Olle nei pressi del ristorante "Il Groglio" e della stazione ferroviaria Vicoforte-S. Michele. 
Una strada comunale unisce la chiesa con le Olle, mentre la parte più elevata della valle é collegata alla strada Vicoforte-Niella Tanaro dalla via detta del Caporale.

I giovani di questa frazione fin dai primi del 1900 furono attori di una singolare danza che per centinaia di anni costituì un'attrattiva per Vicoforte e i paesi vicini. Si tratta del Bal del Saber, risalente ai secoli X e XI al tempo delle incursioni saracene, infatti il termine Saber è un vocabolo arabo che significa sciabola, antica arma usata dai saraceni per i quali la danza era un rito che precedeva  le esecuzioni capitali. Nel corso dei secoli la danza subì delle variazioni trasformandosi in spettacolo folcloristico con l'aggiunta di figure mascherate come Arlecchino e Brighella, gli studiosi ritengono che l'edizione vicese risalga ai secoli XV e XVI.
A San Grato la rappresentazione del Bal del Saber costituiva un motivo di affiatamento e di unione per le famiglie della frazione, poiché ciascuna di esse era coinvolta nella danza che non trovava riscontro nel restante territorio del Comune di Vicoforte. 
La più rilevante rappresentazione del Bal del Saber di Vicoforte S. Grato risale al carnevale 1904, durante il quale fu ripetuta per ben tre giorni consecutivi nel cortile del Municipio di Mondovì, riscuotendo un grande successo. 
Il Comitato del Carnevale di Mondovì, presieduto dall'avv. Guido Viale, assegnò al Gruppo un premio con la menzione onorevole, sulla quale furono elencati nominativamente tutti i partecipanti. 
La menzione onorevole é attualmente a mani del sig. Angelo Cigna il cui padre Carlo, nato nel 1895 e deceduto nel 1976, ha sempre detto al figlio di aver partecipato come ballerino alle rappresentazioni del Ballo in epoca successiva. 
Le famiglie di S. Grato che sono ancora sul territorio o comunque legate alla frazione hanno collaborato agli ulteriori approfondimenti che hanno consentito di avere testimonianze e documenti preziosi. 
Oltre alla "menzione onorevole", il sig. Angelo Cigna ha recuperato due vecchie sciabole in ferro temprato molto antiche usate per la danza. Esse sono pò diverse una dall'altra. 
La più antica si compone di una lama in ferro e di una impugnatura pure in ferro che reca sull'elsa un antico simbolo del sole. 
La famiglia di Antonio Badino ci ha fornito la foto di gruppo dei partecipanti al carnevale di Mondovì del 1904, e foto recenti di parti del costume antico, indossate per la circostanza del padre Guglielmo. 
La danza non veniva rappresentata in una data fissa, anche se generalmente l'occasione più favorevole era il carnevale. 
Il maestro del ballo Stefano Blengini, nato a Vicoforte il 27 settembre 1843 e morto in località S. Grato il 1° aprile 1919, abitava in una piccola cascina, ora ristrutturata, ubicata sull'attuale via del Caporale in località Blenginotti. 
Il porticato antistante l'abitazione era chiamato "Quartin" e questo era anche il soprannome dato al Blengini, il quale esercitava un grande ascendente sui componenti il gruppo, con cui aveva stabilito un rapporto di cameratismo e con i quali non disdegnava di trascorrere alcune ore in allegria, quando se ne presentava l'occasione. 
Talvolta il gruppo si riuniva nell'abitazione del maestro di ballo, vicino alla quale si trovava un piccolo "ciabot", dove era conservata l'attrezzatura necessaria per eseguire la danza, per provare le figure del Ballo e le battute della commedia che lo accompagnavano. 
Queste notizie sono state fornite dai signori Pennacino, entrambi discendenti di ballerini e abitanti a S. Grato che ricordano di averle apprese dei genitori. Il sig. Angelo Cigna, già citato, appartenente ad una famiglia di danzatori (é pronipote di Matteo Cigna) riferisce di aver sentito parlare del Blengini da suo padre Carlo e aggiunge che i danzatori si riunivano di norma nei locali e nel cortile dell'ex scuola elementare di S. Grato. 
Ciò potrebbe riferirsi ad un'epoca successiva alla morte del Blengini avvenuta nel 1919, poiché sembra assodato che il ballo sia ancora stato eseguito dopo tale data. 
Infatti, la signora Pennacino riferisce di aver sentito che dopo il 1904 il ballo fu riproposto "alla buona" da alcuni giovani che per divertirsi lo presentavano nelle aie delle cascine del paese. 
Vi assistevano gli abitanti di S. Grato che coglievano questa occasione per svagarsi e ritrovarsi assieme. 
Sotto la giuda del "maestro" Stefano Blengini, i danzatori si esibivano sia a Vicoforte sia nelle località vicine, normalmente durante il carnevale, coinvolgendo tutti quanti perché, come si legge nel bollettino parrocchiale di Vicoforte S. Grato del luglio 1989, "la corsa all'inseguimento di Arlecchino si svolgeva per le vie del paese". 
Il testo della breve commedia e le figure della danza venivano tramandate oralmente di padre in figlio, ma il Blengini ebbe l'accortezza e il merito di lasciare una documentazione scritta che ha permesso di recuperare questa tradizione a distanza di tempo, quando ormai erano scomparse tutte le persone che avrebbero potuto diffondere la conoscenza del ballo e il contenuto della commedia. 
Mentre procedeva l'indagine con la collaborazione della popolazione, tra cui ci sono i discendenti diretti di quanti parteciparono alle ultime rappresentazioni, sono stati fatti ulteriori approfondimenti. 
In primo luogo occorreva appurare dove si trovava il documento originale e autografo delle istruzioni redatte dal "maestro" Stefano Blengini. 
Poco dopo la prima pubblicazione dell'opera del Pola Falletti, giunse a Vicoforte una giovane studiosa di Roma, Bianca Maria Galanti, per raccogliere elementi per la sua tesi da cui ricavò poi il noto libro sulle danze armate. 

Nella avendo rintracciato negli archivi comunali e parrocchiali, essa fu indirizzata a rivolgersi a don Melchiorre Lobera (nato a Vicoforte l'11-4-1882, ivi deceduto il 13-3-1975), insegnante elementare, singolare figura di sacerdote e di studioso, attento a raccogliere e approfondire ogni aspetto della storia del suo comune. 
La Galanti riferisce testualmente che don Lobera durante l'incontro affermò "che fino a tempi recenti il Ballo costituiva un'attrattiva, un vero avvenimento per la regione e mandava in delirio la popolazione", aggiungendo però che "i giovani non sanno più nulla, ma i vecchi ancora ne parlano con entusiasmo". 
Don Lobera prese a cuore l'argomento della tesi della Galante e, per aiutarla a completare le ricerche sul Ballo di Bagnasco, si mise immediatamente in relazione con il sig. Domenico Brunetti, ex sindaco di Bagnasco e direttore del Bal do Sabre di questa località del Monregalese, il quale, come si é già detto, contribuì in modo determinante a mantenerlo in vita. 
Il Brunetti rispose con la lettera già citata del 16 aprile 1940, indirizzata a don Lobera. 
In tal modo la Galanti poté completare le proprie informazioni sul ballo di Bagnasco. 
Fotocopia di tale lettera era già circolata ed é stata riprodotta oltre che nella tesi di Giacomo Melino, anche nel libro già citato del Carazzone. 
A questo punto diventava chiaro che il testo delle istruzioni per il Ballo di S. Grato, scritto dal Blengini, era stato dato alla Galante e in precedenza all'On. Bertone, da don Lobera che certamente il parlamentare conosceva molto bene. 
Volendo però risolvere alcune piccole discrepanze nelle trascrizioni del Pola Falletti, della Galanti e del Toschi rispetto alla fotocopia esistente in comune di Vicoforte era indispensabile rintracciare, se ancora esisteva, il documento originario. 
E' stato emozionante per il direttore della rivista e per me il momento nel quale abbiamo potuto vedere il quaderno originale autografo del libro del Bal del Saber, scritto dal "maestro" Blengini, e la lettera autografa del direttore del Bal do Sabre di Bagnasco sig. Brunetti in casa della signora Anna Maria Rocca, vedova del sig. Bartolomeo Picco, già capo servizio SATIP (nato a Vicoforte il 4-2-1921, deceduto il 19-10-1995), allievo e amico di don Lobera che volle lasciare in eredità a lui il materiale di libri e documenti raccolti in tutta la sua vita. 
Tra questo materiale, oltre ai documenti sopraccitati, che sono stati fotocopiati per l'archivio del Centro Studi Monregalesi, abbiamo potuto vedere una copia del libro "La danza della spada in Italia" con la dedica autografa: "A don Melchiorre Lobera, riconoscente omaggio di Bianca Maria Galanti, 14 aprile 1943 XXI". 
Pertanto, grazie alla preveggenza di don Melchiorre Lobera, il quale senza dubbio aveva assistito di persona a qualche rappresentazione del Bal del Saber eseguita a S. Grato, il quaderno autografo del "maestro" Blengini e la lettera del "direttore" del Ballo di Bagnasco sig. Domenico Brunetti, sono conservati molto bene della famiglia Picco di Vicoforte: con ogni probabilità fotocopia dei documenti é stata fornita dallo stesso sig. Picco. 
A conclusione di questo lavoro la nostra modesta opinione non può discostarsi da quello che é stato il giudizio che grandi esperti come il Pola Falletti, la Galanti e il Toschi hanno sempre dato del ballo di Vicoforte S. Grato.
Esso é un "unicum": all'antichissima danza che ha conservato tutti gli elementi caratteristici dello Schwerttanz si é sovrapposta, rispettandola, nei sec. XV-XVI una commedia che resta esempio notevole di teatro popolare.
A questo punto é doveroso affrontare anche l'altro argomento controverso rimasto in sospeso da anni. 
Alcuni studiosi sostengono che non solo a Vicoforte, ma anche a Briaglia venisse rappresentato il ballo della sciabola. 
Così si esprimeva il citato preside Carraroli nell'articolo trasmesso dall'On. Bertone a Pola Falletti: "Il ballo delle sciabole é quasi uno spettacolo privilegiato dei due paesi presso Mondovì, Vicoforte e Briaglia; specialmente del primo, del quale fu come il torneo storico nei tempi in cui Vicoforte dominava sui paesi che gli stavano intorno". 
Nella "Guida leggendaria misteriosa insolita fantastica" (ed. Sugar, 1966) si legge che l'unica patria del Ballo é Briaglia dove ha cinque figure fisse: "la catena, la rosa delle spade, l'uccisione del buffone, l'elevazione del buffone sulla rosa delle spade, la danza del cerchio"; con la danza del cerchio qui si vuole indicare la danza della "treccia". 
Sulla scia di Carraroli, sia Pola Falletti che la Galanti, Toschi ed altri ancora, hanno sempre associato il nome di Briaglia alla danza di Vicoforte. 
Anzi, Luciano Gallo Pecca alla voce Briaglia riprende tutti i motivi contenuti nel famoso quaderno del maestro Blengini, dando una descrizione del Bal del Saber che si distacca da quella di Vicoforte solo per un particolare: l'Arlecchino morto é portato fuori scena dai moretti, ma risuscita e torna indietro. 
Sono stati interpellati parecchi rappresentanti autorevoli di questo piccolo comune, che confina con la frazione di Vicoforte S. Grato, ma, mentre qualcuno ha sentito appena parlare del ballo della sciabola, non si sono potuti ottenere indizi o documenti di qualche peso. 
Il rev. Don Sergio Borsarelli, figlio del cav. Giovanni Borsarelli (nato a Briaglia il 9-8-1910, deceduto a Briaglia il 4-10-1991) che fu sindaco per parecchi anni dopo la Liberazione, ricorda con precisione che il padre gli parlava del ballo della sciabola che aveva visto. 
Con probabilità il cav. Borsarelli aveva assistito ad una rappresentazione del Bal del Saber della vicinissima borgata di S. Grato, che ancor oggi molti chiamano col nome antico di Briaglia S. Grato. Occorre concludere con una doverosa citazione storica. 
Vico, fu in certo modo la madre di Mondovì, nome dialettale che significa Monte di Vico, ed ha avuto origine intorno al 1000. 
Dopo lo smembramento del comune di Mondovì, nel 1698 a seguito delle Guerre del sale, Vico riebbe la propria autonomia con l'assegnazione di un territorio che comprendeva anche le due borgate di Briaglia S. Grato e Briaglia S. Croce. 
Quest'ultima nel 1796 ottenne di essere eretta in Comune autonomo. 
Ma il nome di Briaglia S. Grato seguitò ad essere usato per indicare la piccola frazione che ha sempre seguitato a fare parte del comune di Vicoforte. 
Giacomo Melino nella sua citata tesi aveva già manifestato tutti i suoi dubbi sull'esistenza di un ballo della sciabola a Briaglia S. Croce, distinto da quello che si é sempre identificato con S. Grato. Certamente in tutto il territorio di Vicoforte, come nel territorio del comune di Briaglia, si é sempre avuto notizia dell'esistenza del ballo della sciabola a S. Grato, ma non si può , allo stato degli atti, aver alcun dubbio: il ballo é solo quello di S. Grato e l'equivoco é sorto fin dall'inizio per il perdurare dell'appellativo di Briaglia S. Grato persino sulla guida del telefono. 
Quindi é più giusto che il ballo si chiami, come spetta, di Vicoforte S. Grato. 
Resta un grosso mistero da risolvere che lascio ad altri: come una piccola borgata contadina abbia potuto conservare per tanto tempo un ballo così straordinario. 
Al termine di questo lavoro voglio esprimere l'augurio che i giovani dei comuni di Vicoforte e di Briaglia che hanno frequentato o tuttora frequentano la Scuola Media "Vitozzi" vogliano assumersi l'impegno, con l'aiuto di tutti, di far rivivere ancora nei prossimi anni questa antica tradizione dei nostri avi.



Il centro storico

Percorrendo le vie del Borgo, il centro storico di Vico arroccato sulla sommità della collina, non riesce difficile riandare col pensiero all'epoca feudale, anche se a ricordare l'originale ambiente medioevale resta soltanto la torre merlata dell'antico castello, ora campanile della chiesa parrocchiale.

La grande parrocchiale di S. Donato svetta dall’alto della collina vicese, incastonata nel verde cupo della pineta che ricopre interamente il sito dell’antico castello, poi trasformato in forte e distrutto, infine, nel 1684.
Poco o nulla si sa delle vicende relative alla primitiva fabbrica dell'edificio. 
I dati che abbiamo su quella che era la cappella gentilizia del castello, si possono ricostruire attraverso scarsi documenti notarili o testimonianze indirette di storici.
Fondata nel XI secolo dalla famiglia “del Vasto” proprietaria del castello, fu dedicata a S. Donato, santo al quale la famiglia era molto devota per proprie ragioni storiche.
Funzionante da subito anche per la popolazione del piccolo borgo sorto intorno al castello, diviene Pieve succedanea a S. Pietro a partire dal XIII secolo.
La prima testimonianza strutturale dell’edificio risale alla metà del 1500: un vescovo la descrive con tre navate, la centrale sotto tegole, le laterali con volte,  con dodici altari, appartenenti alle famiglie più in vista. 
Nel 1596 la chiesa parrocchiale è rifatta e consacrata. Il nuovo tempio, molto lungo, ha pianta basilicale con tre navate a otto campate coperte di volta, abside ottagonale, due sacrestie, ventidue cappelle e il campanile recuperato da una delle antiche torri del castello, ormai distrutte. 
L’eccessivo peso della grande chiesa porta, nel XVIII secolo, a problemi strutturali gravi, tanto che la facciata minaccia di crollare. Il tempio verrà ridotto di molto in lunghezza. Appena terminato il lavoro, un terremoto imporrà nuovi ed importanti interventi.   
Nella sua attuale struttura la chiesa comincia ad essere officiata nel 1789. In stile composito romanico-barocco, le varie, movimentate, ma relativamente pesanti strutture architettoniche, costituirono per lungo tempo il solo ornamento interno che risulta così, fin quasi al termine dell'800,  austero e raccolto tanto più che la luce vi penetra, in misura limitata, da poche e piccole aperture.
Tra le opere effettuate negli ultimi anni dell'800 e nei primi del'900, il bel pavimento in mosaico che già dopo pochi anni preoccupa il parroco Don Rovere per il fatto che "i chiodi che i nostri contadini portano nelle scarpe e negli zoccoli lo rovinano con tutta facilità". Questo pavimento, tuttavia, si presenterà in accettabili condizioni di conservazione un secolo dopo la sua posa, quando si deciderà di sostituirlo con quello attuale, in granito di importazione (scandinavo e portoghese). 
 Datano al 1884 gli affreschi della cupola centrale e di quella dell'abside, opera dei monregalesi fratelli Toscano, sui temi, rispettivamente, dell'Assunzione di Maria e del martirio di S. Donato. 
 Sotto la guida degli stessi pittori Toscano, nel 1888 "le pareti della chiesa, che prima erano bianche e gialle, sono state ripulite ed ornate dai fratelli Branca ornatisti" e nello stesso anno sono “ pure ritoccati dal Signor Solari gli stucchi ivi esistenti” che  “essendo i dipinti di fresca data ...presentemente non abbisognano di riparazione, tanto più che, per assicurarne la durata, nell'anno 1890 ho fatto ricoprire con intonaco di cemento la parte superiore esterna delle volte sotto cui trovansi questi dipinti". 
I muri, in particolare "furono tutti insieme strettamente collegati da robuste chiavi in ferro". 
Di particolare rilievo sono gli interventi effettuati a partire tra il 1894 e il 1895 sulla facciata principale e sulle corrispondenti strutture murarie interne. E’ distrutto un atrio esistente "sotto l'orchestra, largo due metri e mezzo e lungo quanto é larga la chiesa stessa"; è realizzata la facciata nella forma attuale. Progetto e conduzione dei lavori sono dell'Ing. Riccio e del cav. Schellino. 
 Negli stessi anni viene realizzato lo scalone monumentale che porta al sagrato della chiesa, caratterizzato dalla ricca balaustra in marmo Verzino di Frabosa. Ancora all'interno, tra il 1908 e il 1909 sono stuccate, decorate ed indorate le colonne. 
 Tra le opere di pregio che arricchiscono la decorazione della Parrocchiale sono infine da ricordare:
• la Via Crucis, olio su tela di ottima scuola; 
• le statue di San Teobaldo e della Purità, entrambe del Roasio; 
• la statua, in alabastro, dell'Immacolata; 
• l'Altar Maggiore e quelli dell'Immacolata e del Sacro Cuore (già detto di San Teobaldo), ricchi di pregiati marmi.

Proseguendo dal Borgo verso Mondovì Piazza si imbocca sulla destra, seguendo le indicazioni del sentiero Landandè, una strada che conduce alla Fontana del Fo , un luogo particolare e dalle origini misteriose: il nome “Fo” deriva certamente da faggio, come dimostra la  presenza nel sito di faggi, assieme a numerose altre interessanti essenze arboree. Ma un poeta locale, incantato dalla magia del luogo, ha immaginato che il nome si riferisca ad un leggendario fauno: “…la funtan-na dël Faun  -  sota ‘l sol dël mess-dì  -  a l’è tuta un gioëgh bel  -  êd rifless verd e giaon….”. Si tratta di un luogo importante per Vicoforte perchè molto probabilmente la sorgente che sgorga dalla roccia poi sagomata dall'uomo, così come il grande mascherone sulla sinistra della fonte, costituì la prima riserva d'acqua senza la quale non avrebbe potuto nascere il paese.


Scendendo lungo via Galliano si arriva alla chiesa di San Teobaldo  costruita su iniziativa dei fedeli di Vicoforte e di Fiamenga  che  si autotassarono e la vollero lì, di fronte alla casa in cui la tradizione vuole che il glorioso San Teobaldo (patrono di Vicoforte dal 1966) abbia trascorso i primi anni di vita. La spontaneità e la fede, tuttavia, non dovettero bastare per costruirla secondo le migliori regole dell’architettura, se già dopo pochi anni i muri apparivano “sani, ma mal fondati”. Un primo intervento di risanamento fu portato avanti alla fine del secolo, per volontà del priore don Giacomo Rovere. Al restauro della cappella di San Teobaldo si lavora da anni: «L’intervento – spiega l’arch. Claudio Bertano – ha interessato la facciata esterna e gli affreschi interni. Un progetto che ha ottenuto il parere favorevole di tre Soprintendenze: quella dei Beni architettonici e paesaggistici, quella dei Beni storico- artistici e quella dei Beni archeologici (prima di intervenire sulle murature fu realizzata una campagna di indagine, anche al fine di valutare la natura geologica del suolo su cui sorge la struttura





I Boschi

Seguendo la via di Santo Stefano fino al bivio per Moline si prende la strada sulla destra che conduce alla borgata dei Martini dove una cappella conserva una pala d'altare del '500 raffigurante San Martino. Oltre la cappella la strada prosegue fino ad un incrocio denominato Sette Vie  dove convergono diverse strade campestri con percorsi che si snodano attraverso i boschi circostanti, la principale è denominata Bealera del Diavolo e percorre a mezza costa il versante sinistro della Val Corsaglia, il nome è legato ad una leggenda che narra di un canale che dal fiume Corsaglia portava acqua a Vico.

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